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Carta d'Identità: prescrizioni sulle foto

Le fotografie da presentare al Comune di residenza per il rilascio della Carta d'Identità devono avere delle caratteristiche specifiche?

Per il rilascio della carta d'identità, in quanto documento di identificazione, è necessario presentare al Comune di residenza 3 fototessera a colori. Esistono specifiche prescrizioni, dettate dal Ministero dell'Interno, relativamente alle foto per il passaporto, applicabili anche alla carta di identità.

Si veda in proposito quanto evidenziato dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza con la nota n.400/A/2005/1501/P/23.13.27 del 5 dicembre 2005 che ha fornito indicazioni ufficiali in merito alle caratteristiche tecnico - qualitative delle fotografie.

Le prescrizioni riguardano: qualità, stile ed illuminazione, occhiali e copricapo, espressione ed inquadratura.

Nello specifico si rammenta che le fotografie devono:

  • essere recenti - massimo 6 mesi;

  • avere una larghezza di 35-40mm;

  • inquadrare in primo piano viso e spalle (il viso deve occupare il 70-80% della foto);

  • essere a fuoco e nitide;

  • essere di alta qualità;

  • non avere macchie d'inchiostro o pieghe;

  • ritrarre la persona con lo sguardo diretto verso l'obiettivo;

  • mostrare il colorito naturale della persona;

  • avere un livello ottimale di luminosità e contrasto;

  • essere stampate su carta fotografica di qualità e ad alta risoluzione.

Le foto scattate con macchina digitale devono essere di alta qualità e a colori ed essere stampate su carta fotografica di alta qualità.

Le foto devono:

  • avere una colorazione neutra;

  • riprendere la persona con gli occhi aperti e chiaramente visibili e non coperti dai capelli;

  • riprendere la persona frontalmente, né di lato (stile ritratto) né inclinata, mostrando chiaramente entrambi i lati del viso;

  • essere su sfondo chiaro e a tinta unita;

  • essere riprese con luce uniforme e senza ombre, né riflessi né effetto occhirossi.

Se la persona porta gli occhiali e/o un copricapo:

  • la fotografia deve mostrare chiaramente gli occhi senza riflessi sugli occhiali;

  • le lenti non devono essere colorate (se possibile, evitare le montature pesanti e indossare occhiali con montatura più leggera);

  • la montatura non deve coprire nessuna parte degli occhi;

  • non sono consentiti se non per motivi religiosi, ma devono essere chiaramente visibili i tratti del viso dalla punta del mento all'intera fronte ed entrambi i lati del viso.

Le foto devono:

  • mostrare soltanto la persona ritratta (senza schienale, giocattoli o altre persone visibili) mentre guarda l'obbiettivo con un'espressione neutra e la bocca chiusa.

Per approfondimenti in merito alle caratteristiche delle foto-tessera e per prendere visione di fotografie esemplificative si rimanda alla consultazione delle informazioni disponibili sul sito internet della Polizia di Stato   e Questure - Polizia di Stato - dettagli foto.

Fonte: lineaamica.gov.it

 

 

 

 

 

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Tributario: impugnazione del rigetto della richiesta di annullamento in via di autotutela

di Giorgio Avv. Pernigotti - 03/07/2013 - fonte: www.professionegiustizia.it

Recente pronuncia della Commissione Tributaria Regionale di Aosta in materia di rimedi al rigetto del ricorso in autotutela sentenza n. 13 del 7/05/2013

 

Tributario: impugnazione del rigetto della richiesta di annullamento in via di autotutela

Con sentenza numero 13 depositata il 7 maggio 2013 la Seconda Sezione della CTR di Aosta è intervenuta su una questione che solleva, da tempo, numerose dispute sia in ambito dottrinale sia giurisprudenziale, e che riguarda l’impugnazione dell’atto con cui l’Amministrazione Finanziaria ritenga di non accogliere il ricorso (i.e. istanza) in autotutela proposta dal contribuente successivamente al decorso del termine per l’impugnazione degli atti emessi dall’Amministrazione stessa.

 

La fattispecie sulla quale la Commissione è stata chiamata a pronunciarsi riguarda tre avvisi di accertamento, cui seguiva misura cautelare di fermo amministrativo, scaturiti da una determinazione sintetica di reddito (articolo 38 DPR 600/73) assoggettabile ad IRPEF a carico di contribuente e fondati sul riferimento alle spese sostenute per l’acquisto di una vettura (automobile) divenuta di proprietà del contribuente stesso; avvisi oggetto di rituale notificazione e non impugnati dal contribuente nei termini di legge e quindi divenuti a tutti gli effetti definitivi.

 

Il contribuente interessato presentava all’Ufficio (Agenzia delle Entrate) emanante gli atti, domanda di annullamento in via di autotutela argomentando circa la non fondatezza delle pretese e documentando la propria condizione di studente privo di reddito nonché copia degli assegni emessi dai genitori a prova del pagamento del prezzo di acquisto del bene (una sorta di donazione indiretta).

 

L’istanza veniva respinta dall’Ufficio con atto fatto oggetto di notifica rituale.

 

Avverso detto atto, il contribuente proponeva ricorso alla CTP di Aosta adducendo una carenza di motivazione e concludendo per l’annullamento dell’atto stesso.

 

La CTP, condividendo le eccezioni dell’Ufficio, pronunciava l’inammissibilità del ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

 

Avverso la pronuncia il ricorrente proponeva gravame nanti la CTR di Aosta reclamando, nuovamente, il vizio dell’atto di rigetto dell’Ufficio (carenza di motivazione) e domandando, in via subordinata, che la CTR venisse condannata ad emettere un atto adeguatamente motivato ossia a “rideterminarsi”.

 

L’Ufficio, nella sua costituzione e nelle sue difese, riassumeva la tesi già svolta in primo grado circa l’inoppugnabilità del provvedimento di diniego in autotutela e chiedeva la conferma della sentenza di prime cure e le spese del grado.

 

La CTR di Aosta, nel concedere pieno accoglimento al gravame proposto dal contribuente anche in ordine alla declaratoria richiesta in subordine (obbligo dell’Ufficio di rideterminarsi) distingue, in motivazione, tra atti emessi dall’Ufficio e l’atto scaturito a seguito di sollecitazione in autotutela del ricorrente.

 

Quanto ai primi, la Commissione ritiene di poter confermare la decisione di primo grado circa l’inoppugnabilità degli avvisi di accertamento per difetto di tempestiva impugnazione.

 

Con riferimento all’atto di diniego in autotutela la Commissione reputa che esso meriti un’attenzione migliore sia sull’aspetto dell’impugnabilità dell’atto sia sull’aspetto, conseguente al primo, dell’eventuale condanna dell’Ufficio ad una rideterminazione delle ragioni adotte dal contribuente-appellante.

 

Quanto all’impugnabilità in via autonoma dell’atto di diniego di istanza in autotutela, la Commissione ripercorre, con esauriente motivazione, le tappe fondamentali che hanno condotto al riconoscimento, in ambito tributario, del rimedio generale concesso dall’ordinamento amministrativo a favore della PA di ritirare, in seguito a nuova valutazione dei presupposti ovvero a fatti sopravvenuti, atti che risultassero viziati da contrasto con disposizioni di legge o semplicemente inopportuni (vizi di merito).

 

Senza indugiare sui richiami normativi compiuti dalla Commissione, merita cenno la citazione di un documento di prassi – Circolare Ministero delle Finanze n. 198/S del 5 agosto 1998 – in cui, richiamando il principio di leale collaborazione con il contribuente, il Ministero riteneva, ove la pretesa tributaria fosse risultata, a seguito di adeguata verifica, in tutto o in parte infondata, dovesse essere ritirata, a nulla rilevando eventuali comportamenti omissivi tenuti dal contribuente o l’esito di vicende processuali; salvo solo il limite del c.d. giudicato in senso sostanziale.

 

La Commissione nota come la giurisprudenza di legittimità, dal 2005, si sia orientata nel senso di riconoscere la possibilità di impugnare dinanzi al giudice tributario il provvedimento che rigetta l’istanza del contribuente per l’adozione di un atto di ritiro in autotutela (Cass. Sez.Unite., 10 agosto 2055 n. 16776).

 

Impugnazione che successiva giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. Sez. V. ,29 dicembre 2010 n. 26313) riteneva ammissibile nei limiti di un controllo sulla legittimità dell’operato dell’Amministrazione, anche in caso di inerzia, con preclusione di indagine sul merito della fondatezza della pretesa avanzata dall’istante, non potendo, secondo principi consolidati, ritenersi ammissibile un potere sostitutivo del giudice tributario riguardo alla scelta operata, ove legittima, da parte dell’Ufficio.

 

La Commissione rileva, nel suo argomentare, come non siano mancati provvedimenti giurisprudenziali contrari (per esempio Cass. Sez. VI, 3 luglio 2012 n. 11127) all’ammissibilità di impugnazioni rivolte ad atti emessi in autotutela, i cui fondamenti argomentativi tuttavia la Commissione ritiene di non poter condividere.

 

In particolare la Commissione non ritiene decisivo l’argomento, richiamato dalla pronuncia di primo grado, secondo cui l’istituto dell’autotutela verrebbe a costituire uno strumento per eludere la definitività degli atti per decadenza del potere di impugnazione, per l’assorbente rilievo che detto istituto, qualora rivolto soltanto a contestare la legittimità dell’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Ufficio (e della PA in genere) senza discutere sulla fondatezza della pretesa, non incontrerebbe alcun limite di diritto positivo o vivente. Né, a giudizio della Commissione, pare condivisibile la tesi della tassatività degli atti impugnabili come indicati espressamente dall’articolo 19 del d.lgs. 546 del 1992, tesi che si manifesta superata da tempo a favore di una più generale ed estensiva giurisdizione tributaria non vincolata a specifici atti. Da ultimo la Commissione respinge l’ultima osservazione che incide sulla sfera discrezionale riservata all’atto amministrativo e al perseguimento dei fini propri dell’atto stesso, sfera che non sarebbe, nella fattispecie, colpita in quanto la domanda resta circoscritta alla contestazione del corretto esercizio del potere concesso all’amministrazione, potere che si deve confrontare con l’analogo potere concesso al soggetto leso dalla condotta amministrativa di ricevere adeguata tutela a fronte della posizione di interesse legittimo vantata.

 

Per la Commissione Regionale di Aosta quindi non sussistono valide ragioni per negare protezione al ricorrente che insista nel contestare il non adeguato esercizio del potere discrezionale attribuito dall’ordinamento all’amministrazione e riscontrabile, nella fattispecie, in una carente motivazione dell’atto gravato.

 

Il riconoscimento dell’ammissibilità di siffatta tutela pare idonea secondo i giudici di appello a dare concreta attuazione al principio di doverosità dell’azione amministrativa - in correlazione con i principi di ragionevolezza e buona fede - cui si associano ragioni di giustizia sostanziale e di equità con particolare riguardo al caso in esame.

 

Le conclusioni cui giunge la Commissione Regionale di Aosta meritano di essere condivise anche da chi scrive, in quanto si collocano nel solco interpretativo percorso da autorevole dottrina che si mostra più attenta ad affrontare il rapporto del cittadino con la PA in una visione di azione piuttosto che di relazione, nei suoi passaggi (anche intermedi) che conducono al provvedimento finale nel rispetto della posizione del controinteressato. Lo stesso legislatore, invero, nella riforma del 2005 alla Legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo) ha mostrato, sin dalla modifica dell’articolo 1 (Principi generali dell’attività amministrativa) di voler superare una visione “statica” dei poteri concessi alla PA a favore di una visione dinamica, di “divenire”, dove l’azione (rectius l’agire) della PA deve perseguire i fini attribuiti dalla legge nel rispetto di criteri determinati anche a livello di legislazione comunitaria, criteri (o principi) tra cui spiccano quelli di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.

 

Nel caso oggetto di commento, di fronte, a quanto sembra emergere, ad una pretesa ingiusta e soprattutto non supportata da motivazione congrua e soddisfacente, il soggetto leso nella sua posizione giuridica, ancorché sia rimasto inerte di fronte agli atti terminali impositivi e definitivi della PA dei quali, almeno in sede di gravame, pare non trattare, non avrebbe potuto trovare ristoro e adeguata tutela.

 

Resta salvo il principio della discrezionalità della PA, discrezionalità che non potrà mai tradursi in arbitrarietà qualora l’atto finale di un autonomo procedimento, come è e resta quello di autotela, indifferente sia per natura che per finalità ad esiti giudiziali pregressi o successivi o ad altre vicende, non consenta per difetto di adeguata motivazione, la comprensione delle ragioni che hanno indotto la PA a determinarsi per il rigetto.

 

 

 

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competenza territoriale del giudice in opposizione a cartella esattoriale originata da multa.

luogo di notifica della cartella o di accertamento infrazione? 

trattandosi di giudizio di opposizione all’esecuzione, incardinato ex articolo 615 cod. proc. civ. con riferimento alla cartella esattoriale con la quale e' stato richiesto il pagamento di somma con contestuale avvertenza, in caso di mancato pagamento nel termine assegnato, dell’inizio del procedimento esecutivo, deve ritenersi che la individuazione della competenza territoriale del giudice dell’esecuzione debba essere effettuata con riferimento all’articolo 27 cod. proc. civ., tenuto conto del contenuto dell’articolo 480, terzo, cod. proc. civ., dovendosi la cartella esattoriale equiparare all’atto di precetto (cass., sez. ii, 15 aprile 2011, numero 8704). l’articolo 27 del codice di procedure civile recita per le cause di opposizione all’esecuzione forzata di cui agli articoli 615 e 619 e’ competente il giudice del luogo dell’esecuzione, salva la disposizione dell’articolo 480 terzo comma. per le cause di opposizione a singoli atti esecutivi e' competente il giudice davanti al quale si svolge l’esecuzione.  il luogo dell’esecuzione e' quello in cui viene notificata la cartella esattoriale. quindi, l’opposizione va proposta al giudice di pace competente per territorio nel luogo in cui viene notificata la cartella esattoriale, indipendentemente dalla localita' in cui e' stata accertata l’infrazione.

fonte: http://indebitati.it/competenza-territoriale-giudice-opposizione-cartella-esattoriale-originata-da-multa-luogo-notifica-cartella-o-accertamento-infrazione/

 

 

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  Contraffazione Marchi - non rileva la conoscenza della falsità -

"L'ordinamento giuridico non prevede (al di fuori dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni: nella fattispecie non configurabile sotto il profilo dell'elemento materiale del reato) l'appropriazione, all'insaputa e contro la volontà del datore, di denaro di costui, per soddisfare una propria asserita pretesa (peraltro, nel caso di specie, anche rimasta priva di riscontri)". 

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione sezione Seconda nella sentenza del 27.1.2016 n. 6035 con la quale è stata confermata la sentenza di condanna di una cassiera di un bar, per appropriazione indebita aggravata dall'art. 61 n° 11 cod. pen., alla pena in mesi sei di reclusione ed Euro 210,00 di multa.

 

In particolare, ad avviso della Suprema Corte, da un lato in punto di fatto lo stato di necessità sollevato dalla difesa non risulta provato e, dall'altro in  punto di diritto in base alla consolidata giurisprudenza "l'esimente dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio-economica qualora ad essa possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti".

 

Di conseguenza l'impugnazione è stata ritenuta inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, è stata determina equitativamente in Euro 1.000,00. 

Fonte: Corte di Cassazione

Borse taroccate | I principi sanciti dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1108/2016. 

   appropriazione indebita - è reato sottrarre soldi al datore di lavoro che non paga il dipendente.

"L'ordinamento giuridico non prevede (al di fuori dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni: nella fattispecie non configurabile sotto il profilo dell'elemento materiale del reato) l'appropriazione, all'insaputa e contro la volontà del datore, di denaro di costui, per soddisfare una propria asserita pretesa (peraltro, nel caso di specie, anche rimasta priva di riscontri)". 

 

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione sezione Seconda nella sentenza del 27.1.2016 n. 6035 con la quale è stata confermata la sentenza di condanna di una cassiera di un bar, per appropriazione indebita aggravata dall'art. 61 n° 11 cod. pen., alla pena in mesi sei di reclusione ed Euro 210,00 di multa.

 

In particolare, ad avviso della Suprema Corte, da un lato in punto di fatto lo stato di necessità sollevato dalla difesa non risulta provato e, dall'altro in  punto di diritto in base alla consolidata giurisprudenza "l'esimente dello stato di necessità, che postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile, non può applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di indigenza connesso alla situazione socio-economica qualora ad essa possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti".

 

Di conseguenza l'impugnazione è stata ritenuta inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, è stata determina equitativamente in Euro 1.000,00. 

 

Fonte: Corte di Cassazione

Sentenza della Corte di Cassazione  27.1.2016 n. 6035

 

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Multa se lasci acceso il motore per l’aria condizionata

 

Se l’auto è in sosta, il motore non può rimanere acceso solo per tenere in funzione il climatizzatore con l’aria calda o condizionata.

 

Arriva l’estate ed è tempo di rispolverare una norma del codice della strada da molti ignorata: quando l’auto è in sosta non si può lasciare acceso il motore solo allo scopo di mantenere in funzione l’aria condizionata o l’impianto di riscaldamento. A stabilirlo, in modo chiaro e netto, è un articolo del codice della strada [1].

Chi viola tale norma può essere multato con una sanzione che va da un minimo di 216 euro a un massimo di 432 euro. Mica poco se si considerano certe zone d’Italia dove la temperatura, anche all’ombra, può sfiorare i 40 gradi nel periodo estivo.

 

Puntualmente ignorata dagli automobilisti, con il tacito benestare dei vigili – evidentemente sino ad oggi disposti a chiudere un occhio dinanzi a tale illecito – la norma però non scusa l’ignoranza né prevede alcun tipo di eccezione: sicché è inutile giustificarsi sostenendo che si tratterebbe di una sosta di pochi minuti, magari necessaria per attendere l’arrivo di un passeggero. Il solo fatto di avere l’auto ferma in sosta, anche se momentanea, impone la chiusura del climatizzatore.

 

La disposizione inserita nel codice della strada ha una portata più ampia di quello che potrebbe apparire a prima lettura: non si riferisce, infatti, solo all’impianto dell’aria condizionata, ma al climatizzatore; dunque lo stesso divieto vale tanto in estate, quanto in inverno per chi lascia il motore acceso al solo fine di riscaldarsi.

 

Di questo illecito si parla poco e i repertori di giurisprudenza non segnalano un ampio contenzioso, segno che non si tratta di una delle condotte più contestate ai conducenti (e non certo per merito di questi ultimi). In ogni caso, è anche vero che la norma è relativamente giovane: inserita nel 2007 con decreto legge [2], la sua finalità è quella di ridurre le emissioni dei gas di scarico, nocive per la salute. Gas che, ovviamente, vengono prodotti anche se l’auto è ferma, purché il motore si acceso.

 

[1] Art. 157 co. 7-bis cod. str.

[2] D.l. n. 117/2007 convertito in legge n. 160/2007, successivamente modificato dalla legge n. 120/2010

Fonte: laleggepertutti.it

 

 

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Apertura dello sportello auto: se un altro mezzo urta mentre scendi

 

Chi scende dall’auto deve guardare dietro prima di aprire la portiera: si presume la sua responsabilità in caso di incidente.

 

Nel momento in cui scendi dall’auto fai molta attenzione al momento in cui apri lo sportello: infatti se un’altra auto o un motorino, venendo da dietro, vi va a urtare, la responsabilità per tutti i danni prodotti potrebbe essere addebitata facilmente su di te, anche se l’altro mezzo procedeva rasente alla linea del parcheggio o a velocità elevata o ancora con una guida distratta.

Il codice della strada stabilisce, infatti, una presunzione di responsabilità a carico di chi apre la portiera della propria auto: questi, prima di effettuare la manovra di discesa dall’abitacolo, è tenuto a guardare la strada per assicurarsi che non passi nessuno e al fine di non costituire pericolo per la circolazione.

 

Recita infatti la norma in commento: “È fatto divieto a chiunque di aprire le porte di un veicolo, di discendere dallo stesso, nonché di lasciare aperte le porte, senza essersi assicurato che ciò non costituisca pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada”.

 

Questo però non significa che la responsabilità sia sempre di chi scende dall’automobile. La legge, infatti, consente sempre la prova contraria, ossia la dimostrazione che l’incidente è avvenuto per responsabilità dell’altro autoveicolo. Se tale prova – che quindi è sempre a carico di chi apre la portiera dell’auto – non viene offerta o viene ritenuta insufficiente, non si può evitare di risarcire i danni.

 

A pagare, però, resta sempre la compagnia assicurativa che copre il mezzo parcheggiato. Questo perché la Cassazione ha recentemente chiarito, a più riprese, che la polizza da responsabilità civile automobilistica (cosiddetta rc auto) non copre solo i sinistri avvenuti durante la circolazione del mezzo, ma anche tutte le operazioni collaterali e collegate alla “funzione propria del mezzo” stesso, come appunto lo scendere o l’entrare dall’automobile.

 

In ogni caso, anche se i danni vengono pagati dall’assicurazione, per il conducente che apre frettolosamente lo sportello senza guardare, scatta sempre la multa, che è di 39 euro.

Se ad aprire la portiera e a determinare l’incidente è invece il passeggero minorenne, la responsabilità – e quindi la multa – ricade sull’adulto che lo ha in custodia.

 

[1] Art. 157 co. 7 cod. str.

- See more at: http://www.laleggepertutti.it/118967_apertura-dello-sportello-auto-se-un-altro-mezzo-urta-mentre-scendi#sthash.Uj25Wsul.dpuf

 

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